STORIA

La storia della Raminzona

La Raminzona è la malattia buona degli artisti.

"La Raminzona è la malattia buona degli artisti. Chi inventò il termine? Non ve lo so dire. La mamma lo ripeteva spesso che una certa vena artistica era presente nella sua famiglia, e che essa veniva da lontano."

Queste sono parole di Maria “Mariuccia” Clotilde Mosconi che è stata una scrittrice (e una maestra, pittrice, viaggiatrice e partigiana) padovana. Le ha sempre dette parlando delle sue numerose avventure di gioventù. Le sue storie, diventate 12 libri scritti per lasciare un ricordo agli amici ed ai familiari, sono immancabilmente legate a episodi, personaggi o bagliori artistici di qualche tipo: dai suoi racconti non manca mai una perla musicale, una filastrocca, una recitazione, o una narrativa bizzarra.

Tra le storie di Mariuccia Mosconi ricorre come un leitmotiv la Raminzona, che lei definiva la malattia buona degli artisti, e che accomunava alcuni personaggi dei suoi racconti, tutti dotati di estro e qualità artistiche di qualche tipo.

Una volta conclusa la ricerca nei libri e negli oggetti conservati da Mariuccia Mosconi mi sono reso conto che l’origine della Raminzona non era solo un racconto della sua famiglia, ma una storia molto ampia, avvincente e anche preziosa, che meritava di essere raccontata. Questa storia è documentata da foto dell’epoca, oggetti e scritti conservati e arrivati fino a noi.

Eccola qui ...

La parola “Raminzona” è una revisione del cognome della zia di Mariuccia, Anita Raminzoni, che visse a cavallo tra l’800 e il 900. La genesi della Raminzona intesa come mal gentile, per come l’ho ascoltata dalle parole di Mariuccia stessa, è legata alla vita e alle avventure di Anita, che fu “un caso di Raminzona molto pronunciato”.

Anita Raminzoni nasce a Padova nel 1883, è figlia di Giovanni e di Maria, che fondò e diresse un asilo d’infanzia in un’epoca in cui a quasi tutte le donne era concesso solo il compito di far figli.

L’Anita era una ragazza piena di risorse, bella, vivace e spiritosa. Viveva con la famiglia a Carpenedolo, in provincia di Brescia. Ella amava profondamente suo padre, e chissà se si accorgeva di essere troppo sottoposta e subordinata alle sue scelte. Amava la musica, l’espressione. Si dilettava nella recitazione, nel canto. Non riusciva però a trovare qualche pretendente che potesse soddisfarla. Era una ragazza astuta, forte e caparbia.

Superati i 30 anni (siamo all’inizio del ‘900), dopo la morte del padre ad Anita accadde una cosa che avrebbe cambiato per sempre la sua vita.

Anita Raminzoni col padre
Anita Raminzoni con il padre a Carpenedolo

Qualche anno prima erano venuti a fare un viaggio in Italia i fratelli Gorno, tre lontani cugini dagli Stati Uniti, immigrati nel Nuovo Continente alla fine dell’800. Questi tre cugini in vacanza sono Albino, violoncellista; Giacinto, baritono; e Romeo, pianista.

Fratelli Gorno
Fratelli Gorno

Arrivano dalla grande Cincinnati dove sono riusciti a diventare musicisti professionisti. Anche la loro è un’avventura incredibile, come furono incredibili molte altre storie degli emigranti italiani dell’800.

La loro venuta è un evento. Il padre di Anita Raminzoni, non senza emozione, decide di portare i Gorno a visitare Padova. Tre famosi musicisti americani! Ne avrebbero parlato tutti per decenni, ed infatti -in un certo senso- eccoci qua.

Dal racconto di Mariuccia Mosconi i giovani trascorsero del bellissimo tempo insieme: Anita sente battere il cuore per Romeo, che ne è a sua volta gentilmente attratto.

I tre “Gorno Brothers”, dopo il viaggio, tornarono negli Stati Uniti e proseguirono con le loro brillanti carriere musicali. Romeo ottenne un enorme successo come pianista e docente.

Alla morte del padre di Anita, probabilmente nel 1926, Romeo Gorno decide di scrivere una lettera di cordoglio alla famiglia di lei, che evidentemente ricorda con piacere. Da questa lettera nasce una conversazione epistolare che fa scaturire un affetto con la donna, che egli non vede dal tempo della gita padovana.

Anita e Romeo scoprono, scrivendosi, di voler iniziare una vita insieme. Romeo, che recentemente è stato lasciato dalla moglie, viene in Italia, arriva a Carpenedolo, e Anita lo segue fino all’America dopo aver affrontato lunghissime e scandalose burocrazie per ottenere il riconoscimento del divorzio.

"Il poeta del pianoforte"

Dell’arrivo di Anita Raminzoni a Cincinnati parla anche il giornale locale. Romeo era diventato un importantissimo musicista: era un apprezzatissimo interprete, lo chiamavano “il poeta del pianoforte”, ed insegnava al Conservatorio di Musica della città (che oggi ha una libreria dedicata ai tre fratelli, la Gorno Music Library). Anche gli altri fratelli, Albino e Giacinto, erano infatti personaggi di spicco.

Anita Raminzoni e Romeo Gorno si sposano, e lei diventa così cittadina americana: in pochissimo tempo conquista la simpatia della nuova famiglia e degli amici. È spigliata, divertente, piena di vita.

Riceve critiche positive sulla stampa per via della sua capacità performativa, frequenta ambienti di altissimo livello, stimolanti e ricchi di cultura.

Romeo al pianoforte
1. Sosta sul lago 2. Con la vecchia cadillac

Romeo ed Anita si amano, sono felici. Sembra una fiaba. Accade persino quello che agli occhi di tutti è un miracolo: Anita resta incinta. Di Romeo si diceva fosse impotente, motivo per cui era terminato il suo primo matrimonio lasciandolo nella vergogna. Essere messi in discussione sul piano della “virilità” ha sempre un peso molto grave, emotivo e psicologico, ed è possibile immaginare la felicità che la gravidanza generò, ed i pettegolezzi.

Passa il tempo e la condizione si fa più evidente, nella gioia generale. Una sera, di ritorno da una “scampagnata alla distilleria clandestina” (erano i tempi del proibizionismo), i due vengono assaliti dai briganti e Anita purtroppo perde il bambino. Lei e Romeo non riusciranno mai più a coronare il loro sogno.

Una decina di anni dopo, circa nel 1935, Romeo muore ed Anita resta nuovamente sola. Decide di tornare a Milano: dalla vendita della casa a Cincinnati potrà avere una somma che le garantirà grande agiatezza. Inoltre, a Milano ci sono molti amici musicisti illustri, colleghi di Romeo, che la aspettano a braccia aperte.

Seconda Guerra Mondiale

Anita è una donna molto distinta, e compra una grande casa in piazza Piola. Sono gli anni del Fascismo, poco prima dell’inizio della Seconda Guerra Mondiale. Anita, giuridicamente, è ancora cittadina americana e, forse per poca dimestichezza con gli affari politici, non si rende conto del pericolo che incombe. Con l’aggravarsi della situazione all’alba della guerra, “l’americana” evita il campo di concentramento, ma le vengono confiscati tutti i beni tranne la casa, i vestiti e gli oggetti personali.

Anita resta poverissima, ma mantiene comunque uno stretto contatto con la comunità musicale milanese (ha addirittura due poltrone di diritto alla Scala).

Si arrangia con la sua intelligenza e la sua scaltrezza. Mariuccia racconta che ci tiene ad apparire sempre come una nobile, pur essendo priva di tutto: si tinge i capelli con la fuliggine della candela, ed al mercato chiede le teste dei pesci “per i suoi gatti” (che non aveva) così da portare qualcosa da mangiare senza spendere denaro. Si guadagna da vivere ricamando mostrine per una ditta che produce divise militari, e alle cene nei salotti buoni -che frequentava assiduamente- riusciva anche a far scivolare nella borsa del cibo senza essere vista.

Anita e Mariuccia
Anita e Mariuccia

Mariuccia, nipote di Anita

È in questo periodo, nel 1937, che entra in gioco proprio Mariuccia, nipote di Anita, che fa il magistero alla Cattolica.

Mariuccia è padovana ed a Milano ha bisogno di una stanza. La trova in affitto dalla zia Anita, diventando la sua unica entrata economica fissa.

Il periodo milanese è indissolubilmente legato alla musica: il Teatro alla Scala era occasione per le due donne di grande gioia. Divennero profondamente amiche. Mariuccia racconta: ci sono automobili che vengono a prelevare gli ospiti più danarosi, ci sono persino carrozze a più cavalliche i ricchissimi possono affittare. Ma c’è anche chi, raccolte le gonne, monta sul tram che per zia e nipote è il 16.

Dopo la laurea, Mariuccia torna Padova per insegnare e, con una lettera nel 1968, chiede alla zia ormai anziana di raggiungerla per poterla accudire. Anita, all’inizio reticente, finisce per rispondere: ora, dopo la tua proposta, mi sembra che il mio Romeo mi dica «Vai, Anita…non ricordi che proprio a Padova ci siamo conosciuti?» e poche settimane dopo vende la casa di piazza Piola e parte, lasciandosi tutto alle spalle per la terza volta. Ha 84 anni.

Accetta di essere ospitata dalle Suore di via San Massimo, in centro. Fa molto discutere di sé per via dei suoi racconti e della sua persona, sempre molto spigliata anche nel contesto della struttura religiosa, ma ha il rispetto di tutti: era l’ultima rappresentante di due vecchie famiglie, ed era una donna coraggiosa.

A seguito di alcune complicanze sanitarie, all’età di 84 anni l’Anita inizia a peggiorare.

Una delle ultime conversazioni che Mariuccia avrà con Anita riguarda il figlio che purtroppo mancò dopo l’imboscata, la sera in cui con Romeo andò alla distilleria clandestina.

Anita (prima in alto a sx) dalle suore a Padova
Anita (prima in alto a sx) dalle suore a Padova
Anita Raminzoni, autore illeggibile
Anita Raminzoni, autore illeggibile

Scrive Mariuccia di questo dialogo tra loro, a letto nella sua stanza:

“Zia Anita, quanto sarei felice se ci fosse in questi brutti giorni con te tuo figlio: ora egli sarebbe un uomo, e ti ricorderebbe anche il tuo Romeo”. “Ma quale bambino… ma di quale bambino parli! Io non attesi mai un bambino! Io… sono ancora vergine.” Tacqui. E compresi solo allora tante cose, e provai per lei una profonda, rispettosa ammirazione.

La gravidanza, come la rapina dei briganti, non era mai esistita: era stata una sua idea, una messinscena per ristabilire -agli occhi della borghesia conservatrice- la “buona immagine” di Romeo e riscattarlo dal marchio che la società imprime a chi non sta nella “norma”. Anita aveva evidentemente capito, nello scambio di lettere seguito alla morte di suo padre, che Romeo era un uomo buono e che in nessun caso avrebbe potuto nuocerle. Dunque aveva deciso, ormai trentenne, di accettare la sua proposta di una nuova vita insieme: lei, in America e con un uomo colto, stimolante ed alla sua altezza; lui, con una donna vitale, intelligente, di grande compagnia, che non lo giudicava e che comprendeva la sua condizione. Un affetto culminato in un amore che Anita manifestò devotamente: Mariuccia la ricorda accendere ogni notte una candela davanti alla foto del suo Romeo, che ha tenuto tutta la vita sul comò vicino al letto.

Anita muore di broncopolmonite l’11 dicembre 1971, ad 87 anni; Mariuccia, il 22 novembre 2019, a 99 anni.

Nessuno, certo nessuno pensò all’astuzia, alla fantasia della nuova signora Gorno che si era imbottita pian piano l’addome simulando d’avere una pancia che non c’era, e che aveva così ridato a Romeo quella dignità di maschio che il destino e la vita gli avevano negato, e che l’amore della sua compagna aveva generosamente inventato per lui.

La storia di Anita Raminzoni è una storia antica, legata ad un mondo che non c’è più. Credo che sia una piccola fortuna poterla conoscere e proseguirò nelle ricerche sulla sua vita, grazie alla grande quantità di materiale che Mariuccia Mosconi  ha raccolto e che ho la fortuna di conservare.

Anita visse in mondi ed epoche diverse, fu caparbia e scaltra, e non ebbe ripensamenti quando si trattò di affrontare la società dell’epoca con un gesto fortissimo che seppe anche -pensandoci bene – sfruttare l’immaginario della “feconda donna esotica” (“the italian bride”, la chiamava la stampa) ad uno scopo coraggioso e quantomeno “inedito”. Sicuramente fu capace di far diventare il suo corpo un territorio di emancipazione. 

Dio certo non le imputò molte colpe: fu una donna coraggiosa come nessun altra io conosca e ben applicò la massima “aiutati che dio t’aiuta”, massima che del resto sintetizza la sua vita.

Mariuccia Mosconi diceva sempre che il mal della Raminzona è “una specie di malattia buona artistica” una “vena estrosa” presente nella sua famiglia, che questo sangue viene da lontano, dalla parte della zia Anita.

È una storia di amore e di coraggio, di musica, di teatro, di spirito di sopravvivenza, una storia che inizia e finisce a Padova, ma passa per moltissimi luoghi e si intreccia con moltissime esistenze, e che appunto meritava di essere raccontata.

Grazie a Mariuccia, “nonna Uccia”, per tutto. 

Jacopo, 2022.