Il territorio del Veneto offre molti spettacoli dal vivo.
A causa di una strutturale mancanza di fondi alla Cultura, però, troppi eventi al di fuori dei Teatri non hanno adeguate risorse per poter retribuire correttamente il lavoro di chi vi si esibisce: una prestazione lavorativa pagata “in bianco” ha infatti dei costi insostenibili per situazioni che hanno sovvenzioni esigue o nulle. Il lavoro “bianco”, costa il doppio di quello grigio o nero.
I pagamenti per gli interpreti sono quindi spessissimo erogati in forma di rimborsi spese, borse di studio, collaborazioni occasionali. Tutte modalità che non sono utili ai fini contributivi (ovvero all’andare in pensione, a poter aprire un mutuo, ad avere una “busta paga”).
Ciò accade anche a livello istituzionale, purtroppo.
Questa situazione ha fatto maturare, nel tempo, un malcostume diffuso e il detto secondo cui “la Cultura non è un lavoro”. È un dato di fatto, emerso con preponderanza durante la crisi pandemica che ha bloccato il mondo dello spettacolo dal vivo. Nel mondo culturale, di cui la Lirica è parte, c’è un enorme precariato specie fuori dai grandi Enti, nella tanto vituperata “provincia”.
Che problemi genera tutto ciò?
Prima di tutto, rovina il mercato a partire da chi ci entra ad inizio carriera: non percependosi come “lavoratore” un esordiente accetterà di esibirsi per “visibilità” e non si abituerà a dare valore al suo studio, rassegnandosi al fatto che il territorio non può offrire nulla. Questo porta ad allontanarsi dalla “provincia”, cercando fortuna altrove.
Inoltre l’impossibilità di ricevere un pagamento adeguato rende il territorio un ambiente lavorativo insidioso per chi è già professionista.
Dal punto di vista sociale, questa realtà obbliga molte persone a sbarcare il lunario altrove, anche se magari hanno una buona voce e ottime capacità musicali e attoriali.
Ultima cosa, ma non per importanza, è l’immancabile impoverimento per la collettività. Se l’esigenza è di spendere il meno possibile per gli eventi dal vivo, ovviamente essi saranno fatti al ribasso. Questo si riflette sul pubblico, sull’offerta nel territorio, sulla qualità degli eventi stessi.
Le cause di tutto questo non sono da cercare “in qualcuno”. Nessuno è contento di questa condizione. Chi si dedica alla musica ed alla cultura lo fa nella enorme maggior parte dei casi con amore e grande forza di volontà, spesso con un po’ di malinconica rassegnazione. Non si tratta inoltre di individuare capri espiatori, anche perché andrebbero cercati troppo indietro nel tempo, ma di proporre delle buone pratiche e delle soluzioni per interrompere questo circolo vizioso, e cercare di migliorare la situazione, che può e deve cambiare!
Non è vero che “è così”, non è vero che questo è l’unico scenario possibile.
La Compagnia d’Opera Raminzona è nata per creare una buona pratica locale: impostare una rete di eventi Lirici in cui si valorizzi il professionismo di chi lavora, sensibilizzare le Istituzioni sulle problematiche del mondo dello spettacolo nel territorio, e per offrire momenti di formazione sia artistica che fiscale.
Lo stop della pandemia ha imposto una riflessione profonda sul mondo dello spettacolo e della cultura ed ha fatto capire che questi necessitano di maggior rispetto, considerazione e cura; ha però anche dato il tempo per capire cosa fosse necessario fare e per immaginare altre strade e nuove possibilità.